La storia di Isolina Canuti è una delle vicende più drammatiche e sconvolgenti della cronaca italiana di inizio Novecento. Un caso di femminicidio che, nonostante il clamore suscitato all’epoca, non ha mai trovato giustizia. La sua vicenda è diventata il simbolo di un’epoca in cui le donne erano spesso vittime di violenza impunita, e ancora oggi rappresenta un monito sulla necessità di ricordare e combattere le ingiustizie.

Isolina Canuti era una giovane donna di 19 anni, nata e cresciuta a Verona tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Figlia di Felice Canuti, un uomo vedovo di 61 anni, viveva in una famiglia modesta con altri tre fratelli più piccoli. La sua vita, come quella di molte giovani donne dell’epoca, era segnata da rigide convenzioni sociali e da una forte dipendenza economica e familiare.

Isolina era una ragazza vivace, ma la sua libertà era limitata dalle norme di una società che non lasciava spazio alle donne per autodeterminarsi. La sua storia prende una piega tragica quando si scopre che era incinta di tre mesi, probabilmente del tenente Carlo Trivulzio, un ufficiale degli Alpini che aveva soggiornato nella sua casa.

Il 16 gennaio 1900, una scoperta macabra sconvolse Verona. Due lavandaie, Luigia e Maria, mentre si trovavano vicino al Ponte Garibaldi, notarono un sacco che galleggiava nelle acque dell’Adige. Con l’aiuto di un pescatore, Paride, riuscirono a recuperarlo e, con orrore, scoprirono che conteneva i resti di un corpo umano.

Le autorità intervennero immediatamente e, nei giorni successivi, altre parti del corpo vennero ritrovate. La testa della vittima fu recuperata quasi un anno dopo. Dopo un’attenta analisi, si scoprì che il corpo apparteneva a Isolina Canuti, brutalmente uccisa e fatta a pezzi.

Le indagini portarono subito a una pista inquietante: Isolina era incinta e si ipotizzò che fosse morta durante un tentativo di aborto. Il sezionamento del cadavere suggeriva che fosse stato eseguito da qualcuno con conoscenze mediche, alimentando il sospetto che il suo amante, Carlo Trivulzio, fosse coinvolto.

Trivulzio, 25enne tenente degli Alpini, era stato ospite della famiglia Canuti e si diceva che avesse avuto una relazione con Isolina. Messo alle strette, ammise di aver avuto rapporti con lei, ma sostenne che fosse stata Isolina a cercarlo, dipingendola come una ragazza di facili costumi. Questa narrazione, purtroppo, contribuì a distorcere la percezione del caso e a minimizzare la gravità del crimine.

Nonostante i sospetti su Trivulzio, nessuno fu mai condannato per l’omicidio di Isolina. Il caso suscitò grande scalpore, ma la giustizia non fece il suo corso. La giovane donna, vittima di una società che non tutelava le donne, fu dimenticata per anni.

Nel 1985, la scrittrice Dacia Maraini riportò alla luce questa tragica vicenda nel suo libro Isolina, contribuendo a mantenere viva la memoria di un femminicidio che non ha mai trovato giustizia.

Oggi, la storia di Isolina Canuti è ricordata come un simbolo della violenza di genere e della necessità di lottare per i diritti delle donne. A Verona, una scuola media è stata intitolata a lei, e il suo nome continua a essere evocato in iniziative culturali e teatrali per sensibilizzare le nuove generazioni.

La sua vicenda ci ricorda quanto sia importante non dimenticare le vittime di ingiustizie e femminicidi, affinché tragedie come quella di Isolina non si ripetano mai più.

Foto generate in proprio.

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